domenica 6 aprile 2014

Anna di Francia



- Saranno state le gambe? – mi ha detto scherzando.
- La gonna vorrai dire!
Che piazza quella mattina, il sole spaccava le nuvole e penetrava fin dentro le ossa. Eravamo in tanti, tantissimi! Avresti dovuto vedermi. C’era quel rettangolo enorme che sembrava non esistesse da quanti piedi lo calpestavano; e la torre dell’orologio! Quella poi! Era l’una in punto ma eravamo stati capaci di ingannare il tempo. Nessuno aveva fretta di tornare a casa seppur fosse Domenica. La partita di pallone, il mega derby Bologna – Fiorentina non credo abbia mai avuto così pochi spettatori. Si erano preparati in assemblea i picchetti davanti i cancelli dello stadio ma, stranamente e per la prima volta, i compagni italiani tornarono in piazza senza nessuno alle calcagna e con un sorriso che mostrava tutti i denti.
- Non è venuto nessuno, - ci dicevano urlando – lo stadio era deserto! Dovevate vedere i poliziotti che risalivano sulle jeep e tornavano in caserma. Roba da fantascienza!
Eppure non era che una Domenica qualsiasi quella. Une Dimanche come tante altre; assemblea di Sabato sera, filmetto da quattro soldi francese, - perché fa “figo” mi ha detto uno – e tante tante risate. Sì, era una manifestazione importante ma come poteva essere quella di Lunedì 13 organizzata dai partigiani o come quella del mese scorso. Non c’era un motivo importante per farla. Eppure mai vista così tanta gente, nemmeno quando eravamo sotto la torre di Parigi! Oddio, forse esagero. Va beh che erano fascisti quelli, però forse erano di più.
Ero arrivata la mattina precedente da Torino. Che viaggio. E poi ci lamentiamo dei nostri treni; il bigliettaio non spiccicava una parola di inglese, né, figurati, di francese. Comunque sono arrivata in orario, seppur dopo essermi scordata il cappellino sous la Mole. Pazienza, quando verrai a Torino chiedi in stazione se qualcuno l’ha consegnato da qualche parte. Mi faresti un gran favore! Comunque dicevo che, dopo essere arrivata alle tre del pomeriggio, ho trovato alla stazione di Bologna quel mio amico di cui ti parlavo, anche lui francese.
- E la valigia? – mi ha detto.
- Tanto riparto subito, - ho detto a Mathieu indicando la mia borsa.
Che faccia ha fatto! Non hai idea!

Ma ti dicevo! Sai che qui in Italia in pochi conoscono la frase:  "Ce n'est qu'un dèbut, continuons le combat!” Mi chiedevano di tradurgli cosa significava! Erano giovani, questo sì, ma credevo che qualcosa fosse rimasto da otto anni fa. Comunque è stato un momento, non puoi crederci. Mi ha visto là, anzi, ha visto le mie gambe come mi ha detto, e siamo stati insieme tutto il giorno. Come ti ho detto la via principale di Bologna finisce in questa piazza che si chiama “Maggiore”. Ecco, tutto il corteo è partito dalla stazione ed è finito là. Eravamo senza fretta ma con la stessa rabbia di sempre. Quando eravamo tutti seduti sotto il loro Santo Petronio o Patrono, non ho ancora capito, si è avvicinato e non ci siamo detti nulla. Poi, ridendo e fumando, mi ha parlato dei miei capelli biondi. Ecco, scordati tutto quello che credi di sapere su di me. Ne abbiamo parlato tante volte. Sì, qualche cosa che tu credi l’ho fatta nella mia vita, ma fondamentalmente, sono totalmente diversa da quello che tu pensi.

Durante il giorno è stato il silenzio a regnare tra di noi. O meglio, tra di noi c’era molto silenzio, quasi imbarazzante a tratti, ma attorno, in quella auberge dove siamo andati c’era un casino! I compagni che avevamo conosciuto in piazza volevano portarci fuori le mura di Bologna, in un posticino che dicevano avesse vino buono, ma abbiamo preferito ritrovarci vicino la piazza, così, tanto per restare vicino al centro. Era bellissima. Aveva delle lunghe tavolate fatte con dei bancali e non c’erano tavoli “riservati”; eravamo tutti insieme. Quante risate ci siamo fatti parlando con certi buffi signori. Ad un certo punto abbiamo anche noi iniziato a dire cose senza senso. Ti ricordi quel lampadario che c’è a casa mia, in Francia? Ecco, abbiamo immaginato: “e se prendesse vita?”

- Magari quando sei in camera tua, - mi diceva – prima che vai a dormire.

- Allora sì che sarei felice! – gli ho detto – Io, il Che del quadro e il lampadario che mi vuole violentare!

Immagini che bella cosa a tre sarebbe stata? No, certo, non puoi immaginarlo! Mica hai un lampadario a casa tua! Per di più uno che ti vorrebbe togliere il reggiseno. Più che altro perché sei maschietto! Ma comunque era quello il tono delle discussioni. Poi siamo andati a casa sua, non mi andava di andare a letto da Mathieu e comunque, non sapevo dove fosse in quel momento. Così gli ho chiesto di poter dormire da lui. E poi ci siamo sdraiati vicini, io vicino lo schienale e lui verso il fuori del divano che mi teneva. Siamo stati vicinissimi anche mentre facevamo l’amore. Non solo con il corpo.

E’ stata una serata bellissima, dopo esserci addormentati per un po’ l’ho riportato nella stessa osteria di prima. Questa volta c’era meno gente e più luce fuori, albeggiava quasi. Insomma, siamo finiti a parlare di politica con un tipo. Uno strambo che aveva una chitarra accanto. Parlava di Anarchia, di scendere in piazza per principio, di détruire l'Etat. “Quante cazzate”, mi diceva lui nell’orecchio. E poi, su questo mi conosci. Mi sono arrabbiata, l’ho mandato a quel paese, lui e il tipo, e sono uscita. Che freddo faceva.

E’ finita così.

Ci siamo rivisti mezz’ora dopo là, dove finiva il mondo. Senza appuntamento, sia chiaro. E’ stata una coincidenza. Forse. E’ venuto con una sciarpa rossa in mano e mi ha detto di portarla in Francia. Poi ci siamo baciati di nuovo. Lì, noi due e la piazza. Sapeva di vino ed ero stata felicissima di rivederlo. Sono impulsiva spesso. Comunque eravamo lì, erano le cinque del mattino e il cielo era grigio; si vedeva già qualche bicicletta fare lo slalom tra le bottiglie che avevamo lasciato in piazza la mattina. Non ho mai vissuto un momento così intimo con una persona e con me stessa che fosse così pubblico come quegli archi sotto i quali eravamo seduti. Poi ad un tratto ha tirato fuori dal suo zaino la mia borsa verde.
- Si chiama Libertà, giusto? – mi ha chiesto indicando la scritta rossa che avevo disegnato.
- Si, credo proprio di sì, - gli ho detto.
- Ciao cara.

E l’ho salutato abbracciandolo stretto. Sai Michel, forse quella manifestazione, in fondo, aveva un motivo e un senso. E mi auguro che lo avrà sempre.

Tua,
Anne

PS fuori dal raccontino: Grazie Claudio anche per questi miei deliri notturni che mi hai dato modo di realizzare in qualcosa di più che semplici pensieri.

Nessun commento:

Posta un commento