- Saranno state le gambe? – mi ha detto scherzando.
- La gonna vorrai dire!
Che piazza quella mattina, il
sole spaccava le nuvole e penetrava fin dentro le ossa. Eravamo in tanti,
tantissimi! Avresti dovuto vedermi. C’era quel rettangolo enorme che sembrava
non esistesse da quanti piedi lo calpestavano; e la torre dell’orologio! Quella
poi! Era l’una in punto ma eravamo stati capaci di ingannare il tempo. Nessuno
aveva fretta di tornare a casa seppur fosse Domenica. La partita di pallone, il
mega derby Bologna – Fiorentina non credo abbia mai avuto così pochi
spettatori. Si erano preparati in assemblea i picchetti davanti i cancelli
dello stadio ma, stranamente e per la prima volta, i compagni italiani
tornarono in piazza senza nessuno alle calcagna e con un sorriso che mostrava
tutti i denti.
- Non è venuto nessuno, - ci
dicevano urlando – lo stadio era deserto! Dovevate vedere i poliziotti che
risalivano sulle jeep e tornavano in caserma. Roba da fantascienza!
Eppure non era che una Domenica
qualsiasi quella. Une Dimanche come
tante altre; assemblea di Sabato sera, filmetto da quattro soldi francese, - perché
fa “figo” mi ha detto uno – e tante tante risate. Sì, era una manifestazione
importante ma come poteva essere quella di Lunedì 13 organizzata dai partigiani
o come quella del mese scorso. Non c’era un motivo importante per farla. Eppure
mai vista così tanta gente, nemmeno quando eravamo sotto la torre di Parigi! Oddio,
forse esagero. Va beh che erano fascisti quelli, però forse erano di più.
Ero arrivata la mattina
precedente da Torino. Che viaggio. E poi ci lamentiamo dei nostri treni; il
bigliettaio non spiccicava una parola di inglese, né, figurati, di francese. Comunque
sono arrivata in orario, seppur dopo essermi scordata il cappellino sous la Mole. Pazienza, quando verrai a
Torino chiedi in stazione se qualcuno l’ha consegnato da qualche parte. Mi
faresti un gran favore! Comunque dicevo che, dopo essere arrivata alle tre del
pomeriggio, ho trovato alla stazione di Bologna quel mio amico di cui ti
parlavo, anche lui francese.
- E la valigia? – mi ha detto.
- Tanto riparto subito, - ho
detto a Mathieu indicando la mia borsa.
Che faccia ha fatto! Non hai
idea!
Ma ti dicevo! Sai che qui in Italia
in pochi conoscono la frase: "Ce n'est qu'un dèbut, continuons le combat!” Mi chiedevano
di tradurgli cosa significava! Erano giovani, questo sì, ma credevo che
qualcosa fosse rimasto da otto anni fa. Comunque è stato un momento, non puoi
crederci. Mi ha visto là, anzi, ha visto le mie gambe come mi ha detto, e siamo
stati insieme tutto il giorno. Come ti ho detto la via principale di Bologna
finisce in questa piazza che si chiama “Maggiore”. Ecco, tutto il corteo è
partito dalla stazione ed è finito là. Eravamo senza fretta ma con la stessa
rabbia di sempre. Quando eravamo tutti seduti sotto il loro Santo Petronio o Patrono, non ho ancora
capito, si è avvicinato e non ci siamo detti nulla. Poi, ridendo e fumando, mi
ha parlato dei miei capelli biondi. Ecco, scordati tutto quello che credi di
sapere su di me. Ne abbiamo parlato tante volte. Sì, qualche cosa che tu credi
l’ho fatta nella mia vita, ma fondamentalmente, sono totalmente diversa da
quello che tu pensi.
Durante il giorno è stato il
silenzio a regnare tra di noi. O meglio, tra di noi c’era molto silenzio, quasi
imbarazzante a tratti, ma attorno, in quella auberge dove siamo andati c’era un casino! I compagni che avevamo
conosciuto in piazza volevano portarci fuori le mura di Bologna, in un
posticino che dicevano avesse vino buono, ma abbiamo preferito ritrovarci
vicino la piazza, così, tanto per restare vicino al centro. Era bellissima.
Aveva delle lunghe tavolate fatte con dei bancali e non c’erano tavoli “riservati”;
eravamo tutti insieme. Quante risate ci siamo fatti parlando con certi buffi
signori. Ad un certo punto abbiamo anche noi iniziato a dire cose senza senso. Ti
ricordi quel lampadario che c’è a casa mia, in Francia? Ecco, abbiamo
immaginato: “e se prendesse vita?”
- Magari quando sei in camera tua,
- mi diceva – prima che vai a dormire.
- Allora sì che sarei felice! – gli
ho detto – Io, il Che del quadro e il lampadario che mi vuole violentare!
Immagini che bella cosa a tre
sarebbe stata? No, certo, non puoi immaginarlo! Mica hai un lampadario a casa
tua! Per di più uno che ti vorrebbe togliere il reggiseno. Più che altro perché
sei maschietto! Ma comunque era quello il tono delle discussioni. Poi siamo
andati a casa sua, non mi andava di andare a letto da Mathieu e comunque, non
sapevo dove fosse in quel momento. Così gli ho chiesto di poter dormire da lui.
E poi ci siamo sdraiati vicini, io vicino lo schienale e lui verso il fuori del
divano che mi teneva. Siamo stati vicinissimi anche mentre facevamo l’amore.
Non solo con il corpo.
E’ stata una serata bellissima,
dopo esserci addormentati per un po’ l’ho riportato nella stessa osteria di
prima. Questa volta c’era meno gente e più luce fuori, albeggiava quasi. Insomma,
siamo finiti a parlare di politica con un tipo. Uno strambo che aveva una
chitarra accanto. Parlava di Anarchia, di scendere in piazza per principio, di détruire l'Etat. “Quante cazzate”, mi diceva lui nell’orecchio. E poi, su questo mi
conosci. Mi sono arrabbiata, l’ho mandato a quel paese, lui e il tipo, e sono
uscita. Che freddo faceva.
E’ finita così.
Ci siamo rivisti mezz’ora dopo
là, dove finiva il mondo. Senza appuntamento, sia chiaro. E’ stata una
coincidenza. Forse. E’ venuto con una sciarpa rossa in mano e mi ha detto di
portarla in Francia. Poi ci siamo baciati di nuovo. Lì, noi due e la piazza. Sapeva
di vino ed ero stata felicissima di rivederlo. Sono impulsiva spesso. Comunque
eravamo lì, erano le cinque del mattino e il cielo era grigio; si vedeva già
qualche bicicletta fare lo slalom tra le bottiglie che avevamo lasciato in
piazza la mattina. Non ho mai vissuto un momento così intimo con una persona e
con me stessa che fosse così pubblico come quegli archi sotto i quali eravamo
seduti. Poi ad un tratto ha tirato fuori dal suo zaino la mia borsa verde.
- Si chiama Libertà, giusto? – mi
ha chiesto indicando la scritta rossa che avevo disegnato.
- Si, credo proprio di sì, - gli
ho detto.
- Ciao cara.
E l’ho salutato abbracciandolo stretto. Sai Michel, forse
quella manifestazione, in fondo, aveva un motivo e un senso. E mi auguro che lo
avrà sempre.
Tua,
Anne
Tua,
Anne
PS fuori dal raccontino: Grazie Claudio anche per questi miei deliri notturni che mi hai dato modo di realizzare in qualcosa di più che semplici pensieri.
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