venerdì 6 febbraio 2015

Un satellite che tanto mi ricorda la Luna


Quella che oggi si combatte non è una battaglia localizzata. Ieri eravamo tutti quanti a Kobane, con le compagne ed i compagni Curdi. L’altro ieri eravamo a Parigi con tutta quanta la redazione di Charlie. Ancora più giorni, forse anni fa, eravamo tutti quanti in Vietnam a fianco delle milizie vietnamite. Oggi siamo con la Grecia.

Le battaglie si concludono sempre, qualcuna prima e qualcuna dopo e, ovviamente, ci sono sempre vincitori e vinti. La storia ci ha insegnato che, purtroppo, i perdenti sono quelli che finiscono impiccati, lapidati, uccisi, bistrattati nei libri di storia e, peggio, nella memoria dell’intera umanità. I vincitori, invece, sono quelli che tornano alle proprie case con tanti squilli di tromba festanti, con i fidanzati e le fidanzate che vengono avvolte da un caldo abbraccio dal proprio milite reduce da chissà quali battaglie. Fucili in spalla senza caricatori, qualche benda qua e là e un grugno sorridente sul viso. Questi sono i vincitori.

Oggi siamo con la Grecia.

Non so se la si possa definire “guerra” questa. Forse è qualcosa, l’inizio di qualcosa che solo tra molto tempo vedremo realizzarsi se i suddetti vincitori torneranno a casa loro. Qualcosa di brutto per tutti noi, non solo per i vinti. E si deve evitare.

Stasera piove. A Catania c’è la festa patronale, la più bella festa del mondo anche per me che, di sicuro, credo a stento a ciò che dico. Figuriamoci ai santi. Eppure le candele gialle, la cera che cola sulle basole già bagnate dalla pioggia, l’odore della carne a rosolare sulle griglie che fa tanto fumo, tantissimo fumo quasi fosse nebbia mi fa pensare a tutt’altro. Nulla che abbia a che fare con S. Agata.

La tradizione catanese vede tanti “devoti” che portano sulle spalle degli enormi ceri accesi per tutta la processione che dura ben tre giorni. Ogni candela significa, per chi la porta, una grazia ricevuta o desiderata e, quest’anno, ne ho viste tantissime. Troppe.
La luna che splendeva in cielo quasi si rifletteva su quella cerca calda, aggiustata da dite incallite. Forse era questo che mi faceva pensare ad altro.

Oggi siamo con la Grecia anche per questo.

Su tutti i giornali, ipocriti titoli neri annunciano il pugno di ferro di un gigante che no, non è biondo, alto e con gli occhi azzurri, bensì incravattato e altrettanto nero. Un inquietante maestosità che si erge sulle spalle di tante piccole creature. Di tante donne e uomini.
Un pugno di ferro duro e impietrito nella sua mossa che sembra stringere qualcosa che, anche da lontano, puzza tantissimo di “denaro”.

Oggi siamo con la Grecia pure per questo.

Dall'altro lato dei titoli neri, delle cravatte, dei pugni –ipocritamente chiusi– c’è qualcosa che va al di là della semplice umanità intesa come: persone. Dall’altro lato ci stanno i vinti, quelli che mai sono stati vincitori e che, forse, per la prima volta, potranno esserlo.

Qualunque cosa succederà in questi giorni non verrà dimenticata. Perché anche questa, se possiamo definirla guerra, non sarà come un Iraq, come le Ardenne o come il Golfo. Questa sarà una guerra che no, non userò il condizionale, cambierà tanto e forse, tutto. E’ l’inizio di un qualcosa che odora di meraviglioso. E’ la conferma che vincitori e vinti non sono solo delle definizioni ormai seppellite. E’ il motivo per cui, oggi come ieri, tutti dovremmo metterci un cartello addosso con su scritto: “Je suis Charlie” o “No War in Vietnam”.

Forse è quella famosa luna catanese che mi fa pensare. Forse sono le enormi candele portate a spalla da troppe persone che sperano in una grazia, in un favore divino o, ancora, semplicemente sperano. 
Di una cosa sono sicuro. Non ne ho mai viste così tante. E se da un lato questo significa che ognuno di noi sta peggio di ieri tanto da chiedere qualcosa alla propria “fede”, significa anche che la speranza non è morta.

E oggi siamo in Grecia soprattutto per questo. Perché la speranza di una vita migliore è ricomparsa nei nostri fratelli greci. Perché la speranza di una piccola nazione sta terrorizzando un’intera comunità di stati grigio vestiti. Perché, come in Vietnam, come con Charlie Hebdo, come con Kobane, la gente spera di cambiare qualcosa o forse, tutto.


Perché un’altra volta, dal Sud del mondo, sta nascendo un “satellite” bellissimo. Da seguire, da ammirare con gli occhi anche solo per un momento, anche se dovesse scomparire domani stesso. Perchè anche se fosse una mera illusione è bella. Bella come una speranza. Bella come la speranza che, grazie a voi, ci ha contagiato tutti di nuovo. E non so perchè, ma questo satellite mi ricorda tantissimo la Luna. La bellissima Luna di stasera che mi ha fatto scrivere e sperare che tutto questo si avveri.

mercoledì 15 ottobre 2014

Il dilemma - Gaber e Cesare

Una cravatta blue con strisce bianche. L’onestà e la coerenza con sé stessi. La fedeltà verso i propri dubbi che, risolti, portano al senso della vita.
Questo cantava Giorgio Gaber in molte sue canzoni eppure, come le cose più belle e semplici, non sempre era facile capirlo.
C’è una canzone a cui sono particolarmente affezionato, si tratta de: “Il Dilemma”. In giro non esistono spiegazioni a riguardo né, tantomeno, interpretazioni più o meno dettagliate. Eppure credo di aver compreso cosa possa significare questo testo, quantomeno, per me.
In qualche videocassetta si può trovare Giorgio che canta questo meraviglioso pezzo proprio con la sua solita giacca a tre bottoni e una cravatta blue con delle strisce bianche trasversali. La sua uniforme di battaglia. E si può anche trovare una versione più recente dove, al posto della bellissima chitarra classica che accompagnava il pezzo originale, c’è un fantastico pianoforte che lascia trasparire tutta la serenità possibile.
Perché di serenità si dovrebbe parlare.
L’amore cos’altro è se non sicurezza o serenità? Le due parole sono sinonimo di uno stesso significato: felicità. Incontrare una donna, per caso o meno, in una data epoca, attuale o futura, in una data località vicina o lontana vuole dire solo una cosa se si instaura un rapporto d’amore: stare bene insieme, essere felici. Ciò però non vuol dire necessariamente ciò che quelle due parole vogliono rappresentare. Stare insieme non significa stare vicini, rinunciare a sé, avere un uomo o una donna che debba “entrare” per forza nella propria esistenza. Ogni essere è libero e, fondamentalmente, solo. Come scrissi tanto (ma tanto!) tempo fa l’amore cos’è se non l’unione di due solitudini? E forse è questo uno dei primi “sensi” che ha questa canzone di Giorgio.
E poi c’è la cosa più brutta di noi umani. La paura e il futuro.
Cos’è che distrugge tanti rapporti bellissimi più o meno duraturi?

“L’uomo è un animale quieto se vive nella sua tana” canta Gaber.

Già, la tana che rappresenta la sicurezza, la certezza, il non avere dubbi.
Ma come si può fare a non aver paura? Evitare il futuro. No il non immaginare un futuro assieme, un sogno comune o un qualunque tipo di “figura astratta” più o meno prossima bensì, secondo me, il non condizionare la realtà, la pace, la serenità che solo nel presente c’è e deve esserci con “l’essenza di una sua [del rapporto] immagine futura”.

Poi, ad un certo punto, quella coppia rifiutò categoricamente le nostre idee di “libertà in amore” e, più o meno metaforicamente, si diedero “alla morte”.

Cos’è la morte in questa canzone? La vera fine del loro amore? O, forse, la comprensione di una nuova idea di amore, di una nuova idea di “innocenza”, di serenità? Quell’amore che, in tutta la canzone, viene messo in perenne confronto con le idee di “lui” ed emerge in quei pochi versi dove loro:

“Sapevan piangere e soffrire (insieme) senza dar la colpa né all’epoca né alla storia”

Non so dare a questo punto una definizione, una spiegazione sicura di questa canzone, ma quello che avete appena letto è la mia interpretazione. L’amore è un bellissimo percorso dove due esseri si incontrano e decidono di camminare fianco a fianco ognuno su un proprio binario ma che, come destinazione (non finale) hanno una stazione comune.
Ogni tremolio del vagone, ogni variazione di percorso è avvertito in maniera differente ma attorno ai due passeggeri resta sempre quella cabina sicura che li trascina da qualche parte.


Ecco un estratto di uno dei miei scrittori preferiti, Cesare.

Perché ti amo. Cos’è l’amore mi chiedi. Io so che l’amore è restare nudi, spogliarsi a vicenda. L’imbarazzo ci sarà. Se così non fosse sarebbe grave. Quello che viene dopo è soddisfazione o tristezza, ma verrà solo quando saremo vestiti di nero, quando non avremo più modo di intendere. Allora sì che il futuro ci interesserà, e paura e futuro saranno, finalmente, giustificati. Quando saremo morti e ci interrogheremo su ben altri temi.
Tutto quello che c’è in quell’intermezzo, quando vedo le tue gambe perlacee e tu la mia pipa. Quando ti guardo con un libro in mano, gli occhiali decisi e gli occhi incerti e tu mi vedi assorto. Quando saremo nudi di nuovo, di nuovo, di nuovo come ieri, l’altro ieri e ancora più in là. Quando il tuo sesso non si incontrerà col mio solo per sentire le nostre temperature ma anche perché riconosceremo di essere nudi, di essere uguali, di essere spogli da tutte le incertezze e dal futuro allora è lì che vedo l’amore. E lì il nostro amore. E lì il motivo per cui, sono sicuro, ci amiamo.
I vestiti neri hanno le tasche piene di esperienza e i polsini stretti intorno ad un futuro che ci preoccuperà ma non ci riguarderà. Quando siamo nudi tutto ciò non ci riguarda. E l’amore è essere sempre nudi. Rivestiti solo dalla nostra pelle che ci protegge da ciò che l’altro non deve vedere se noi non vogliamo. L’amore è spogliarsi dalle preoccupazioni, dalle speranze e dalle paura. Liberarsi dai dubbi e dalle incertezze.

L’amore, caro amore, è amare l’attimo costante senza pensare a quello subito seguente. Ed è per questo che ti amo, caro amore. Siamo sempre stati nudi e sempre, so, lo saremo. Quando permetteremo ai vestiti di ricoprirci o vorremo nuovi abiti magari blu, l’attimo finirà ma andrà bene anche così. Io e te ora siamo nudi, il resto, non mi interessa, né oggi e né domani. Ti amo. Tuo, Cesare.

sabato 11 ottobre 2014

I Simpson e la vita


Non mi era mai capitato di parlare di un cartone. Ma qui si parla dei Simpson non di una serie animata qualunque.
Sono cresciuto da sempre con i Simpson seduti di fronte al mio tavolo da pranzo. Ogni volta che tornavo a casa da scuola sapevo che avevo degli invitati d'oro a consumare, con me ed i miei genitori, un pasto caldo, e sarebbe ipocrita dire che la televisione era il mio ultimo pensiero.La voce di Tonino, quella di Monica e di Liù sono da sempre state dei punti saldi della mia crescita insieme, ovviamente, ai loro personaggi tutti gialli.

Beh, stanotte cercando in giro la voce di Tonino mi è capitato di imbattermi in un bellissimo spezzone dei Simpson quello dove, negli anni '80, Marge e Homer si incontravano e decidevano di vivere insieme. Quello che questo episodio della mia "famiglia virtuale" lascia è incredibile e semplicemente magnifico, come tutte le cose semplici sono.

Ogni volta che riguardo questo e tante altre puntate mi accorgo che sono gli unici cartoni a farmi commuovere o, addirittura, a farmi piangere. Non hanno mai parlato di temi vacui, di americanate o peggio, di argomenti da bambini e questo episodio in particolare lo dimostra. La storia d'amore di Marge e Homer, la nascita del loro primo figlio e l'odio di una famiglia e di una società trapelano tutte da questi ventidue minuti di cartone. Trapelano insieme all'amore di un uomo qualsiasi verso una donna qualsiasi. Trapelano assieme alla gioia di un bambino nascituro. Trapelano insieme al supporto che solo tra esseri umani può esistere quando si presenta una difficoltà come un rapporto in crisi a causa della mancanza di un posto di lavoro.

Non so se i Simpson finiranno e non saprò mai se la nuova voce di Homer, che mi piace immaginare come un secondo dialetto, mi piacerà, ma so solamente che quello che stasera come altre volte ho provato, può davvero far sognare come le cose più grandi. Sarà una bambinata, sarà un emozione frivola non importa. I sentimenti che però si provano sono veri e chiunque li potrebbe vivere sulla propria pelle se solo volesse. Sia guardando quei 20 minuti di film che aprendo la propria mente e rendendosi conto che Homer o Marge siamo ognuno di noi. La vera essenza che ognuno di noi dovrebbe essere. E non smetterò mai di ringraziarli.

Grazie Tonino... Grazie Homer

http://www.simpsonitastreaming.altervista.org/stagioni/stagione-3/03x12-ho-sposato-marge.html

lunedì 14 aprile 2014

Raccolta articoli, pensieri e rarità su Claudio Lolli

Come da titolo, ecco un volumetto creato dal sottoscritto che non vuole per nulla essere esaustivo (la materia in questione è troppo grande) ma, quantomeno, abbastanza completo. Ovviamente gratis :-)

Qui troverete la stragrande parte degli articoli apparsi in rete e nei giornali cartacei sul cantautore Claudio Lolli.

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