mercoledì 17 aprile 2013

Ero piccolo


Sono piccolo.

Mi sento piccolo. Ho rivisto le stesse scene con occhi diversi. L’aria sudata l’ho respirata di nuovo, anche, se lì non c’ero. Anche se, come oggi, ero piccolo. Il sole picchia, ha ripreso da poco a farlo. E’ tempo di magliette a maniche corte e pantaloni più leggeri. Anche le scarpe devono essere cambiate. Serve qualcosa che non faccia scivolare sulle basole cotte dal sole. E' strano il pavimento delle città. Nero come la notte. Sembra fatto apposta per dormirci di sopra, non per calpestarlo. Meriterebbe rispetto. Lui.
Ero piccolo.
Mi sentivo piccolo. Distratto. In testa avevo altro: altri pensieri, altra gente, altre idee, altri sogni. No, forse quelli non più. Ma pensavo. Un po’ come ora. Lasciate che vi racconti qualcosa.

Sera. 
Il pavimento nero si confondeva con la notte. Ancora mancava il caldo e gli stivaletti bassi mi calzavano ancora freschi. Anzi, se non sbaglio, aveva piovuto da poco. Una ministra. La stessa di sempre, la classica figura: pancia, vecchiaia e bassezza, in tutti i sensi. Un cantautore. Lo stesso, credo, di sempre: capelli lunghi e lucidi all’indietro, la stessa voce alta e limpida, lo stesso pianoforte, bianco. Una giornalista, morta: forse bionda forse libera. Piccola anche lei.

Poi.
Poi il pavimento venne violato. Quel manto stradale tanto comodo per dormirci, venne calpestato. Rimbombava al peso della violenza e noi, di sopra. Due gruppi piccoli, massimo una cinquantina di esseri. Poi venne il blu a dividerci. Una parte restò nella strada principale, l’altra, davanti il teatro. Il teatro. Già, ma quale? Guantoni pesanti nelle mani e cappelli blu sulla testa. A vederlo sembrava il solito colore di sempre: quello della rassicurazione, della pace. Poi, un altro blu, questo più scuro, quasi nero, diede l’ordine di non fare riunire i gruppi. Cosa servono le parole quando chi ti ascolta è sordo? Saranno i caschi a rendere quel blu tanto freddo, asettico, inumano. Eppure qualcosa intervenne, forse una sfumatura creata dall’uomo, e così fummo di nuovo insieme.
Il freddo attanagliava tutti. Le voci si iniziarono ad alzare; quando si è giovani si crede che i tuoi padri o, i tuoi avi, ti possano ascoltare. Mai errore più grosso. Di nuovo il blu a violare la notte. Fu un attimo: davanti il plexiglass trasparente rifletteva le sirene, di dietro la gomma si mimetizzava con la notte, di lato comparì un altro colore, il verde dei soldi.
Non fu solo il freddo ad attanagliarci e a farci male.
Poi, un'altra sfumatura, forse di pietà. Il buio riconquistò tutto, la paura svanì e noi, andammo via…

Ora.
 Sono piccolo. Ma ricordo.
Anche quella notte il buio ti faceva compagnia. Anche quella notte, seppure non c’erano le basole ad abbracciarti, ti volevi stendere per terra e dormire. Anche quella notte, forse, c’era un cantautore. Ma con la chitarra. Forse, addirittura, c’era un giornalista anche stavolta. Vivo. Piccolo come tutti gli esseri che aveva intorno. Le sfumature erano bellissime; non c’erano colori puri e limpidi. C’erano miscugli dolcissimi e vivi, c’erano impasti di verde e grigio, di marrone e giallo. C’erano.
Il parquet ti accoglieva. Che brutto pavimento che è il legno. Finge di essere vivo come te ma è più freddo della pietra. E, strano a dirlo, più duro.

Poi.
Poi anche allora, il pavimento venne violato. Tantissimi passi, tantissime voci gli premevano addosso. Tantissimi pezzi di vetro in frantumi. Si direbbe che venne svegliato insieme ai suoi piccoli cuccioli. Fu un attimo. Le sfumature svanirono, i colori allegri, belli e giovani, pure. Solo il blu. Anche la notte fu cacciata fuori da quelle mura. Ed allora restò solo il suo odore. Il suo odore ed il suo nero. Nero come gli occhi che ci navigavano dentro. Nero come il metallo, gli anfibi e i guantoni che lo fendevano come burro.
Urla. Insulti. Spintoni e sangue. Sangue. Sangue. Sangue. Ricordo un altro colore di quella notte in scuola ed era proprio il rosso. Quello più vivo. Quello più vero. Quello più libero. Quello più dimenticato.

Ero piccolo ma ricordo ancora. Ero piccolo perchè come oggi, come quel giornalista impotente, mi ci fecero sentire, piccolo. Non c’ero quella notte in quella città, avevo altri pensieri, altra gente, altre idee, altri sogni in testa. No, forse non sognai più.
Perchè portarono via tutti: portarono via i resti di quello che avevano fatto, portarono via i resti della pace, Portarono via i resti dell’Uomo. Ci portarono via anche i sogni.

G8 di Genova. Scuola Diaz, 21-22 Luglio 2001.

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