lunedì 30 dicembre 2013

Orecchie stonate?

Più o meno un mesetto fa, nella mia Catania, sono successe un paio di cosette che meriterebbero un po' di attenzione. La prima è stata quella che reputo più significativa per vari motivi, l'occupazione e la creazione di uno spazio Sociale aperto a tutti, nella struttura dell'Ex Istituto d'Arte di Via Crociferi.

 Il Collegio dei Gesuiti, questo il nome della struttura, era sino al 2009 la struttura adibita ad accogliere gli studenti di tale scuola. Poi, grazie all'intervento di un certo Gesualdo Campo, all'epoca Sovraintendente ai beni culturali sotto la giunta dell'ex sindaco Stancanelli e uomo fidato dell'ex Presidente della Regione Raffaele Lombardo (imputato per concorso esterno in associazione mafiosa), quel bellissimo edificio fu sgomberato sfrattando gli studenti e mandandoli in una sede affittata da un privato, di V.Le Vittorio Veneto dove, la Regione, pagava una rata di ben 60000€ al mese. Lo sfratto fu eseguito incontrando una scarsissima mobilitazione studentesca che, secondo i miei ricordi, si limitò a dei cortei nella via centrale di Catania. La motivazione presunta di tale decisione, comunque, fu quella di destinare il bellissimo Collegio ad una Biblioteca Regionale con la scusa di una ristrutturazione urgente a causa della precarietà della struttura stessa (voci di addetti confermarono poi, di aver visto i VVF picconare la facciata per provare tale precarietà).


Nel Dicembre di quest'anno, il Collettivo Aleph, decise di occupare l'ex Istituto d'Arte per creare un Centro Sociale Occupato. Meno di un mese dopo, la DIGOS e numerosi celerini sgomberarono l'edificio sotto decisione dell'Arch. Sovraintendente Fulvia Caffo che motiverà tale sgombero con: «Dobbiamo cominciare parte dei lavori» chiara scusa, secondo chi scrive, per sgomberare semplicemente una struttura promettendo con un budget di soli 40.000 €  circa, fantomatici lavori in pieno periodo natalizio. 

La seconda "cosa" è datata giorno 20 Dicembre quando, a seguito di una manifestazione cittadina, sono stati occupati i locali dell' ex SERT -servizi per le tossicodipendenze- di Catania; occupazione tutt'ora in atto.

Questo articolo però non vuole essere solo una cronaca fedele di quei giorni. Bensì vuole raccontare, secondo gli occhi di uno dei presenti in alcuni eventi organizzati in quei giorni, la realtà che si respirava dentro quelle strutture, in particolare l'Ex Collegio.
Ogni Giovedì, infatti, sono state organizzate delle "Jam Session" dove chiunque poteva portare uno strumento e improvvisare dei piccoli concerti. Una realtà che, seppur vissuta poche volte, era veramente bella, piena di animo, allegria e colore.  Ma c'è un però. Come disse Claudio Lolli, e con un pizzico personale di puzza sotto al naso, credo che essendo un "raccontatore", il mio compito è quello di costruire un senso a un qualche cosa che senso non ha (lungi da me paragonarmi a Claudio, beninteso).
E allora quello che voglio raccontare, non criticare attenzione, è la musica di quei giorni, dei nostri giorni. In ogni raduno, manifestazione, occupazione e autogestione che ho vissuto (e gestito in passato), la musica ha sempre avuto il ruolo da "protagonista". Ma che musica? Nei cortei catanesi e, credo, di tutta Italia, la musica sparata dalla camionetta che guida il corteo è musica agli antipodi del significato della manifestazione stessa. Sì, le note recitano gli stessi testi di sempre, più o meno: "che roba contessa", "uno, due tre, quattro, cinque, dieci, cento passi", "vieni a ballare in Puglia", "It's funny to stay at YMCA"... Ma cantati da chi?

Sono sempre stato principalmente contrario ad ascoltare un qualunque tipo di musica (rifacimento o inedita) che seppur impegnata, non rispecchiasse "l'essere" di chi la canta. Ho sempre disprezzato, per dire, i "Modena City Ramblers" o ancora, "Samuele Bersani" proprio per questo motivo. Una facciata, un comportamento dell'autore lungi da essere riflesso nelle proprie canzoni. O viceversa. E purtroppo non è più il discorso (sbagliato) che si faceva negli anni '70 dove si diceva che "i cantautori dovevano essere poveri perchè di sinistra", qua si parla di una coerenza tra "quel che si è" e "quel che si canta". E allora che senso assume lo sparare una musica in contro-coerenza al tema di una manifestazione-occupazione-evento?

La seconda cosa che mi ha fatto riflettere in quei giorni è il cambiamento culturale che presuppone un altro tipo di sonorità in certe situazioni. Se una volta quando si era tra amici in strada, o in una scuola occupata si suonava e cantava "corre, corre, corre la locomotiva" con la "erre" rigorosamente "awwotata" oggi è d'obbligo ascoltare e cantare "Nesli" o Caparezza stesso. E questo succede quando si antepone l'importanza del testo alla musica. Spesso invece avviene il contrario e si suona l'etnorock o il metal più spietato.

Dove sono finiti i testi veramente impegnati o le chitarre acustiche scordate a forza di plettrare con forza una canzone realmente di protesta? Dove sono finite le gole che bruciano dopo aver urlato un inno politico o gli slogan di una volta? Dove sono le risate dopo aver stonato una canzone di Pino Masi? Dove sono finite quelle canzoni?
Non so se è giusto così, ma il divertimento ha preso il posto dell'impegno, anche in situazioni dove il divertimento dovrebbe essere "l'ultima ruota del carro". E non solo nel mondo della musica. I tempi cambiano e il mondo musicale pure, è giusto così (forse), ma i gusti dovrebbero rimanere uguali. Non nelle preferenze ma quantomeno nella oggettività di capire la bellezza, coerenza, utilità di una canzone. Perchè di utilità si dovrebbe parlare oggi, della musica.

Sì, la musica è sempre là, anche quella di una volta, ma i veri ascoltatori, quelli, che fine hanno fatto?


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