sabato 2 novembre 2013

Tic, Tac, Tic, Tac

Il termine "mecenatismo" fu coniato, stando a Wikipedia, addirittura in epoca Ante Christum. Nel senso più "lato" del termine, il mecenate era colui che finanziava e supportava, spesso economicamente, artisti, intellettuali e chiunque facesse dell'arte, un mezzo di cultura. Poi, chiaramente, tale persona aveva un margine di libertà ridotto ai voleri del mecenate stesso che, non proprio curante del benessere intellettuale del popolo, lo sfruttava per portare prestigio alla sua corte. Comunque, esisteva, e già era qualcosa.

Oggi, dopo due millenni, tale figura si può dire pressoché estinta. Non c'è quasi nessuno che mette in gioco se stesso o le sue finanze per promuovere una figura culturale più o meno di rilievo. Vuoi per la crisi (?), vuoi per il disinteresse, vuoi per una ritenuta inutilità di tale ruolo, nessuno o pochissimi artisti sono portati avanti sotto l'ala di un reale interesse sociale. Oppure, forse, è proprio il contrario del "disinteresse" il motivo per cui il fenomeno è cessato?

Si sa, siamo in anni duri grigi e freddi. La cultura ha costi ritenuti, dai "più", esorbitanti. Si effettuano tagli macroscopici in ambiente scolastico e nell'ambiente dello spettacolo di nicchia. La "Tax Credit" fa montare le proteste dei dipendenti dello spettacolo, i biglietti del cinema sono tassati e i teatri sono disertati a causa di prezzi che, per necessità, devono per forza essere alti. Addirittura si è arrivato, per mano della stessa parte politica che dovrebbe rappresentare un minimo baluardo della cultura, a bloccare lo sconto massimo dei prodotti editoriali al 15%. Ironia della sorte, gli unici settori che non sono stati toccati sono quelli che effettivamente non servono alla cultura.

Cosa c'entra in questo "ambaradam" il mecenatismo? Beh, forse ci sarà chi dice che esistono delle realtà che aiutano giovani artisti (casualmente sempre del mondo musicale) chiamati "Talent Show". Esibizioni televisive che, sopra l'onda dell'"aiutiamo il meritevole", promuovono e buttano nel mondo della cultura ragazze e ragazzi che hanno nel sangue il cosidetto: "Fattore X" per citare un'omonima trasmissione. Nulla in contrario su queste trasmissioni se non per rivendicare il fatto che tutto ciò non ha nulla in comune con la parola "talento" e, tantomeno, "cultura".
Restiamo in campo musicale. Non voglio fare nessun panegirico sui Talent e su tutto quello che gira intorno, c'è chi lo fa da tempo e con gli stessi risultati che avrei nel farlo io. Voglio invece concentrarmi sul ruolo che ha la musica nel campo culturale di oggi e i prezzi, salati, che si devono pagare.

Se oggi si gira in internet alla ricerca di cantautori italiani, spuntano un bel po' di nomi più o meno famosi. Si trovano nomi oggettivamente meritevoli e nomi oggettivamente non meritevoli ma tutti accomunati con il termine "cantautore" solo dal senso letterale del termine: "colui che scrive le sue stesse canzoni". E così troviamo un'ampia schiera di artisti, ripeto, più o meno meritevoli, che cantano le loro stesse canzoni.
Facciamo un passo indietro.
Anni fa, tanti anni fa, lo stesso termine citato poc'anzi aveva tutt'altro significato. Sì, il cantautore era chi scriveva da solo le sue canzoni ma era anche -e soprattutto- una sorta di totem magico che una volta scoperto, ti immedesimava in egli stesso cantando ciò che tu eri o volevi essere. Altolà alle canzoni d'amore e di passioni sfrenate finite in una notte d'Estate; i temi erano altri e gli ascoltatori pure. L'amore si cantava ma era unito a un discorso continuo di politica, di sociale e di intimità. Quel "capellone" ti cantava senza nemmeno conoscerti e tu, per ringraziarlo dal profondo del tuo cuore, l'unica cosa che ti riusciva fare era amarlo.

Io sono troppo giovane per parlare in prima persona ma voi, donne e uomini oltre i vent'anni, quante serate avete passato a tirare giù ad orecchio gli accordi di una canzone o a passare la stessa su una vostra radio d'Istituto o cittadina? Quante volte il giradischi ha rigato un 33 giri d'Autore o la cassetta ha vomitato il suo ingarbugliato nastro fuori dal mangianastri?
Oggi tutto si è drasticamente semplificato. Gli accordi li trovi belli e pronti in rete (chi ancora dedica la sua chitarra a una canzone italiana) e i giradischi insieme ai mangianastri sono soltanto vecchi aggeggi inutili di una passata generazione. Ora c'è la chitarra elettrica e gruppi improvvisati con breve scadenza, quasi dei latticini. Ora c'è iTunes e gli iPad che, con uno sfioramento mandano watt e onde sonore agli auricolari. Tutta un'altra cosa, con i loro vantaggi e i loro svantaggi. Ma quelle persone che registrano (e registravano) una canzone dove sono? Forse è sbagliato parlare di persone. Si dovrebbe puntare sul termine più generico di "cantanti" (o cantautori, cambia poco oggi). Si dovrebbe parlare di musica pentagrammata su un Computer e pronta per l'uso. Chiavi in mano. Per carità, c'è ancora la bravura dei musicisti e le belle voci ma... dietro? E dietro queste eventuali "presenze" chi c'è veramente?
Provate ad immaginare un'enorme serie di rotelle, di ingranaggi che precedono la lancetta di un orologio. Ecco, quest'ultima è la risposta. Un meccanismo complessissimo fatto da freddo metallo appuntito e ben oliato. Un enorme e complicato sistema lubrificato costruito solo per... fare leggere l'orario alle persone. Una cosa che dovrebbe apparire scontata a tutti e, nonostante la sua grandissima utilità, viene resa banale da un semplice orologio. Ecco cos'è la musica oggi.

Di recente ho contattato a Catania ben 15 librerie piccole e non, per provare a lanciare una serie di reading e presentazioni di un libro scritto da un noto cantautore. Ancora prima, ho contattato altrettanti sedi (tra circoli, ARCI, teatri e associazioni) per cercare chi supportasse e desiderasse portare nella propria città, lo stesso artista. La risposta in ogni caso è stata sempre, e dico sempre, negativa. Sì, ho riscontrato nelle e-mail e nelle discussioni affrontate un paio di "Ma" oppure di "Se", ma in genere la controparte finiva la sua trattativa con un secco "No grazie". E attenzione, come avete ben letto si parla anche di ambienti della cosiddetta "alternativa culturale". Centri sociali, teatri impegnati ed associazioni più o meno di aprte. Ora non voglio fare il franco tiratore che spara su tutti ma, sappiatelo, nel panorama dei nuovi e vecchi cantautori ci sono persone che hanno determinati cachet che solo un imponente patrimonio potrebbe soddisfare. Non parlavo con i miei interlocutori di cifre esorbitanti, si parlava spesso di un rimborso spese complessivo di viaggio, vitto e alloggio. Usiamo le cifre, cinquecento euro totali?

E allora torniamo all'inizio. Esistono i mecenati? Ma ancora prima, esiste qualche motivo per cui della gente vorrebbe spendersi per portare nella società la parola cultura? No. C'è ne poca, pochissima. La maggior parte preferisce restare a contare il tempo segnato dalla lancetta. Anzi, a farlo contare a tutti noi. Tic, Tac, Tic, Tac, Tic, Tac...

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