giovedì 20 dicembre 2012

Ma che importa?


Si a casa.
Si mise a sedere dietro la scrivania. Sentì  la pelle della sedia premersi sui jeans, il calore di quel tessuto marrone abbracciarla da dietro, fino al seno. Aveva finito la sua storia. E quella bottiglia. Bianca, come la sua faccia. Non gli importava. Si aggiustò sulla poltrona e poggiò i polsi sulla scrivania. I suoi movimenti erano laschi, involontari. Incondizionati. Aveva la mente talmente piena ma cosi tanto vuota che ebbe paura per un attimo di quel che lei stesso pensava. Allungò le dita, calò la puntina di un vecchio giradischi e mise su un disco. Uno di quelli neri, pesanti, lunghi, che nessuno ascolta più. Stette a sentirlo per un po’, poi urtando contro la bottiglia vuota, prese i sigari. «Classico» lesse.  Ne tiro fuori uno, gli tolse la plastica d’attorno e lo accese con l’accendino. Tra due dita. In bocca. Finalmente. Fumo.
Muoveva la testa con calma, col sigaro bagnato dalle labbra battendo sulla tastiera come fosse un pianoforte. Alzava le dita prima per una pausa, le poggiava sul vetro freddo del tavolo, e le rimetteva alla nota successiva. Muoveva la testa tra una nota di quel disco e tra una parola di quel foglio. L’oscillava a destra e a sinistra, lentamente, con pigrizia. Come una vecchia bottiglia d’acqua lanciata per gioco, sentiva la sua mente vagare in mezzo ad un oceano. E non erano i pensieri. Non ne aveva più. «Fanculo i pensieri!» disse sbattendo il sigaro sul labbro. Non capiva nemmeno quello che sentiva in bocca. Se fosse cenere, tabacco o semplice fumo. Non c’era più, e questo contava. Non era lei quella sera. E tra quelle strane coreografie di fumo, che il vecchio legnetto marrone tenuto tra le labbra soffiava via, riusciva a vedere soltanto altre di quelle sere. Sola. «Finalmente o purtroppo?» Prese il sigaro e lo sbatté sul posacenere. «Ma cosa è? Cosa c’è? Cosa succede stasera?» Gli occhi erano socchiusi, sottili, affilati e bagnati. Non sapeva cosa ci fosse scritto in quel pezzo di carta, cosa stesse scrivendo. Sì, lo vedeva, lo leggeva «sigaro, fumo, vita, io» diceva scorrendo con occhi il manoscritto. Ma cos’erano quelle parole? Cos’erano quelle congiunzioni che tenevano insieme quel discorso? «O nulla non è nulla.» Alzo il volume delle casse. Una tromba su un pianoforte. La finestra si aprì col vento. Vide ciò che sotto casa sua succedeva. Ragazzi, gente, persone. Unite, vicine, «parlano anche!» pensò. «Poco male» si disse. Non le capiva, era troppo in basso per sentirle. Annegata quasi. Ma non gliene importava. Aprì la bottiglia accanto al posacenere. La seconda. Buco la carta con la punta di ferro tirando via l’anima alla bottiglia. Vicinò il bicchiere, bevve l’ultimo sorso e lo rinfrescò con l’altro vino. «Oggi finisce il mondo» sorrise dentro il bicchiere. Parlava con la lingua morbida. Il fiato pesante, gli occhi bagnati. Lacrime di fumo e vino, stesso sapore. Proprio mentre allontanava il bicchiere gliene scese una. Sentì l’amaro del sale. La portò in bocca, l’aveva dentro quella lacrima. Poco importava.
 Discussioni, parole, lunghe e pensate per un gesto breve e insensato. «Cos’è una persona?» si chiese. «Bella domanda Leon!» si rispose recitando un vecchio film. «Un qualcosa di talmente piccolo e unico che risulta inafferrabile. Un insieme di gesti, di sentimenti di emozioni.» Prese una cuffia e la inserì nel vecchio giradischi alzando il volume. «no ma seriamente, cos’è? Chi è una persona?» disse ridendo. Il vino lo perdeva facilmente ormai. Gli scivolava nelle vene troppo in fretta. Bevute e scivolate verso la perdizione. Vedeva lì uno spiraglio. Prese la grammatica migliore, le regole che aveva imparato in anni di scuola, le esperienze che la avevano avvolta e alzò il volume al massimo. Si, ora lo riconosceva, era la sua tromba, la tromba che gli faceva compagnia da notti intere. Spense la luce, aprì un libro del suo scrittore preferito dove c’era una foto bellissima di un uomo con la pipa in bocca e la poggiò sotto la tastiera, vicino al petto. Ora c’era un basso che suonava, la tastiera aveva lasciato aria alla tromba. Un duetto fantastico. Come aveva sognato di fare. Si tolse le cuffie, aprì la finestra contro il vento freddo di quella sera e buttò una nebbia di fumo sul muro di fronte. Riprese quel pianoforte tra le mani e scrisse questo.

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