giovedì 7 luglio 2011

De andrè giu dall'altare

L'articolo del blog continua sotto!



Fonte: Il Giornale


Ci sono voluti oltre quarant’anni per infrangere uno dei più granitici tabù del sistema musicale italiano: Fabrizio De André non è il mito che ci hanno fatto credere dopo la morte, ma un uomo pieno di contraddizioni, protagonista certo della scena cantautorale degli anni Settanta ma tutto sommato con ben poca originalità. Un sopravvalutato, insomma. A dirlo, per mezzo di un lungo e dettagliato servizio di copertina, è Rolling Stone di luglio, ultimo numero firmato da Carlo Antonelli, prossimo direttore di Wired, quasi che prima di lasciare abbia voluto togliersi un peso sullo stomaco: la santificazione di Faber, sopraggiunta post mortem dal 1999, è quanto meno sospetta, e a spiegarcelo sono coloro che lo conoscevano meglio, ossia la moglie Dori Ghezzi, l’amico «vero» Paolo Villaggio, Mauro Pagani, l’inventore di Creuza de Ma.

«La leggenda del santo cantautore non sarebbe piaciuta neppure a lui», scrive il magazine. «Era sicuramente più cazzaro che santo», dice Dori Ghezzi. Gli rimproverava «il farsi del male. Non faceva male agli altri, ne faceva a se stesso. Specie quando beveva troppo. Aveva momenti di rabbia non controllata perché non era più lui». In ogni caso, per Rolling Stone «oggi nessuno in Italia gode della reverenza tributata a Fabrizio De André. È una gara a chi meglio lo rievoca, rilegge, cita, analizza, svela...».
Tralasciando i tratti personali di un carattere difficile (De André era misantropo e misogino, arrogante, altezzoso, alcolista, talvolta violento, spesso depresso) è proprio sul musicista che Rolling Stone - si tratta pur sempre di una rivista rock - punta il dito. Citando molte fonti ormai dimenticate. Ad esempio un’intervista del 1978 all’Unità: «Sono un piccolo borghese e faccio canzoni solo per guadagnare». Oppure le critiche subìte da altri artisti come Guccini («Colleghi cantautori, eletta schiera, che si vende alla sera per un po’ di milioni») o Gaber (si chiedeva se fosse «liberale o extraparlamentare»). E alla fine arriva a una conclusione: «De André era lucido nell’autocritica ma confuso in politica».
Che sollievo leggere queste considerazioni, anche se pronunciate con colpevole ritardo. Ma meglio tardi che mai. Negli anni Settanta il Bel Paese era funestato dai figli ingrati della borghesia pasciuta e benestante, teorici dell’«armiamoci e partite», che hanno riempito migliaia di teste di ideologia tragica e funesta. Oltre a rappresentare ben poco dal punto di vista della ricerca sonora, quasi nulla li differenziava dai cantanti del Festival di Sanremo, se non la verniciatura di «rosso» sulla rima baciata cuore-amore.
Fabrizio De André era uno di loro, come l’altezzoso De Gregori, l’avvelenato Guccini, il sopravvalutato Vecchioni. Borghesi, benestanti, ricchissimi, indifferenti alle vicende di quel proletariato che spesso citavano a sproposito nei loro testi. Rolling Stone continua così: «Ci conosceva bene, De André: noi popolo che si commuove per i vinti da lui cantati, poi vota i vincenti».
E poi ci sono le date a parlare. Nel 1974, mentre il cantautore genovese usciva con Storia di un impiegato, l’ennesimo peana sessantottino che anche la critica non ebbe il coraggio di sostenere più di tanto, Lucio Battisti compì una rivoluzione epocale pubblicando Anima latina, dopo un viaggio in Brasile con Mogol, un lp ricco di sperimentazioni sonore e vocali, senza nessuna hit, caraibico e mediterraneo, insomma un capolavoro, l’ennesimo capolavoro. E proprio tra Battisti e De André non correva buon sangue. Parlando di Faber su Oggi nel 1970, Lucio disse: «Le sue canzoni sono temini da liceali. Trovo i suoi testi interessanti ma piuttosto goliardici, dato che piacciono solo agli studentelli». A stretto giro di posta per quei tempi, ossia l’anno dopo, De André rispose su Amica che Battisti era un ottimo musicista e molto avanguardia «ma in fondo ricalcava gli esempi di James Brown e Joe Cocker». E Rolling Stone ora nota: «De André di solito aveva una parola buona e sincera curiosità per tutti i colleghi: doveva proprio soffrirlo». Salvo poi notare che, al momento della morte di De André, nel 1999, «il lutto non fu paragonabile a quello che aveva attraversato la nazione alla morte del più popolare (nei vari sensi del termine) Lucio Battisti». Poi ci fu la «beatificazione» che adesso Rolling Stone contesta. Togliendo al genovese l’aura sacrale e postuma: «Musicalmente fu un po’ - come dire - piccolo borghese».. E di conseguenza dando ancora più luce a Battisti.


Non si tratta certo dell’ennesimo atto di revisionismo (e non sarebbe certo il caso di Rolling Stone, schierata politicamente a sinistra) o del repechage di un minore, visto che Lucio, senza l’appoggio dei critici, non esibendosi dal vivo e scomparendo dai media, non solo ha venduto molto più dei colleghi cantautori, ma ha anticipato di lustri ciò che sarebbe accaduto dopo, e non solo in Italia. Eppur non basta, se ci sarà un Battisti santo, almeno per la sinistra, avrà un altro nome di battesimo.

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Bisogna fare una premessa prima di tutto... L'articolo che apre il post è preso da "Il Giornale"
CITAZIONE
Fabrizio De André era uno di loro, come l’altezzoso De Gregori, l’avvelenato Guccini, il sopravvalutato Vecchioni. Borghesi, benestanti, ricchissimi, indifferenti alle vicende di quel proletariato che spesso citavano a sproposito nei loro testi.

Basta leggere questa frase per collocare l'articolo nella fognatura più profonda.

Se poi andassimo a leggere l'inchiesta de "Rolling Stone" capiremmo un po' di cose:

Se prendete pagina 66 leggerete un articolo a firma di Alberto Piccinini dal titolo a dir poco sconcertante:

Gli Avvelenatori
I Cantautori come veri colpevoli dell'involuzione della musica italiana

Il tutto iscritto in una pagina chiamata "Kantautori"
Ciò che afferma il giornalista (o presunto tale) in sostanza è che i cantautori siano stati in passato troppo mitizzati e che come afferma il caro Alberto: "Forse furono un'allucinazione collettiva"... Se si legge l'articolo si possono notare attacchi a Guccini (L'Avvelenata secondo lui ebbe successo "più che altro per le parolacce nel testo") a Vecchioni (A proposito di Vaudeville "La musica era uno stornelletto alla Barbapapà") e imprecisioni quando riporta la contestazione ad Alan Sorrenti.

Tutto questo cosa c'entra con Faber?

Andiamo avanti... Se si prende pagina 58 a firma di Stefano Pistolini, si può leggere un articolo chiamato

"Villa Spericolata"
Ok, era un poeta, sotto sotto però, c'era la grandeur di un Micheal Jackson

Il giornalista continua attaccando la figura di Fabrizio e dipingendolo come un'ipocrita, un mostro, un falso solo perchè si è fatto la Villa in Sardegna... Solo questo basta per buttare nell'immondizia la rivista... Andiamo avanti e guardiamo l'ignoranza e la superficialità del giornalista:

"Tra i guasti dello svacco televisivo c'è la falsità che trasforma dei vecchi cantanti in simulacri culturali. Vite ridotte a schifezze. E morti che - ingombrandi nei detour della loro arte - Vengono smembrati a colpi d'ermeneutica a casaccio, formato nostalgia. Alla larga dall'unica buona domanda: "Chi era e perchè dovrebbe importarmene? Perchè è ancora qui tra noi?"

Le domande in grassetto dovrebbero fare pensare che praticamente Fabrizio ha la stessa importanza di un prossimo alla morte come Gianni Morandi (uno a caso)...

Leggiamo poi come presenta Fabrizio:

"Pregevole incarnazione del male oscuro, di trascorsi blasè, tormenti sopiti, di quell'enorme sentimento del Dopo guerra chiamato snobismo, con significato meno sprezzante di quello che gli si attribuisce oggi, percezione di alterità e privilegio (la sigaretta, lo sguardo, i mocassini, la parola giusta cavata dalle caverne del lessico)" e poi "Bellezza da appartamento, fine ingannatore"

Si dica tutto ma non che questo non è un puro attacco non alla figura di perfezione costruita DAI MEDIA (perchè i Fan sanno benissimo chi era in realtà Faber) ma solo al Fabrizio artista e uomo, criticandolo e giudicandolo anche umanamente tanto quanto artisticamente... Se andiamo a pagina 56 infatti, leggiamo una paginetta d'intervista a Mauro Pagani mirata più o meno indirettamente a screditare anche il rapporto di Faber con la musica i con i musicisti:

"Lo suonavo io"
[...]Di Faber lui (Mauro Pagani NdS) ha conosciuto il talento poetico, certo, ma anche una certa tirchieria (ma va?), una bella dose di pigrizia e sopratutto l'ego. Smisurato.

Se si legge un titolo del genere ci si aspetta nell'articolo di leggere le motivazioni di queste affermazioni, in special modo dell'ultima (L'ego smisurato), invece ci si ritrova davanti ad una cozzaglia di domande fatte solo per distruggere l'artista e l'uomo Fabrizio (non la sua immagine di santo che ripeto, dovrebbe essere giusto smantellare IMHO) e nessuna o quasi fonte a quanto affermato... Domande del tipo:

"Eppure alla fine sembrava avesse proprio poca considerazione per il musicista in se..."
o ancora
"eppure Fabrizio deve molto a loro, no? (riferendosi ai cantautori Francesi)"

Come se il giornalista fosse il classico bambino che cerca in tutti i modi di screditare un uomo (Eppure questo, eppure quello, però ha fatto questo ecc.)
Domande comunque tutte smentite da Mauro

Ancora non ho finito di leggere l'intera inchiesta, ma questi tre articoli dovrebbero far pensare parecchio su come la nuova rinascita della musica d'autore (Vedi la ricomparsa di Claudio Lolli, di Guccini, di gente come Pollina o Renzo Zenobi, gli Ucroniutopia, gli Arangara) che RIFIUTA CATEGORICAMENTE il business delle attuali case discografiche e tutto ciò che gli gira intorno, spaventa terribilmente l'industria musicale del 2011... E come addirittura, si voglia far credere alla gente che l'attuale "musichetta" che passa in radio e quindi, l'involuzione passata dalla musica sia tutto merito dei cantautori
Mi si dica tutto ma no che un intero numero di una rivista non sia dedicato a distruggere l'immagine di un grandissimo della musica d'autore (internazionale) che ha fatto paura in passato e la fa tutt'ora; Se si voleva solo distruggere l'aura (ma è cosi importante?) di santo creata intorno a Fabrizio si potevano usare ben altri metodi e sopratutto ben altri Musicologi...

"Tanto ci sarà sempre lo sapete, un musico fallito[...] a sparare cazzate"


3 commenti:

  1. Faber il più grande di tutti(Anam)

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  2. sono rimasto basito dalla stupidità e dal qualunquismo dell'articolo apparso su R.S.

    poi finalemnte hgo trovato queso magnifico blog (al quale, da buon libertario e "faberiano" mi sono subito iscritto ad occhi chiusi).

    Non mi nascondo dietro all'ipocrisia, perciò con onestà e senso della verità oltre a farti i complimenti sinceri, ti mostro anche il mio blog di "scrittore in erba" (che ovviamente come tutti stò pormmuovendo)...

    saluti libertari! :)

    http://alessandrodevecchi.blogspot.com/

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  3. Ciao Alessandro!

    Grazie per il commento e per il complimento..
    Si, quando mi avevano detto dell'uscita di un articolo su Fabrizio avevo pensato subito al meglio, poi, quando mi hanno spiegato che tipo di articolo fosse ho iniziato a scrivere questa mia opinione...
    Sto dando proprio ora uno sguardo al tuo blog e i complimenti sono veramente ricambiati insieme agli auguri per la tua carriera di scrittore!

    Un abbraccio,
    Ludo

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